Ubuntu
Da tempo Ubuntu è considerato uno dei pilastri dell’ecosistema GNU/Linux: un sistema solido, user-friendly, supportato da una grande comunità e, soprattutto, essendo una derivata di Debian/GNU Linux è costruito su fondamenta libere — il kernel Linux e gli strumenti GNU. Ma qualcosa sta cambiando. E se le premesse verranno mantenute, da questo 2025 potremmo trovarci davanti a un Ubuntu profondamente diverso. La rivoluzione è partita, e ha un nome: Rust.
Una transizione che fa rumore
Secondo quanto emerso da un articolo di Tom’s Hardware e confermato da fonti ufficiali, Canonical ha annunciato l’intenzione di sostituire i tradizionali GNU coreutils con una suite riscritta in Rust, denominata uutils. Il debutto ufficiale è previsto con Ubuntu 25.10 “Plucky Puffin”, con l’idea di estendere la novità anche alla successiva LTS, la 26.04.
Sotto il cofano, questo significa dire addio — almeno parzialmente — a decenni di tool storici scritti in C, come ls, cp, rm, cat, per abbracciare versioni moderne, più sicure e potenzialmente più performanti, grazie alle caratteristiche intrinseche di Rust, come la memory safety.
Perché Rust?
Le motivazioni ufficiali parlano chiaro: sicurezza e resilienza. Rust, ormai da tempo sotto i riflettori, promette di eliminare intere classi di vulnerabilità legate alla gestione della memoria, un problema cronico nei programmi scritti in C. L’assenza di garbage collector e il controllo fine sulle risorse rendono Rust interessante anche dal punto di vista delle performance.
Canonical vuole modernizzare il cuore dell’userland, rendendolo più adatto alle esigenze contemporanee, dove sicurezza e parallelismo non sono più optional.
La strada del compromesso: oxidizr
Per mitigare il trauma da cambiamento (e testare sul campo eventuali incompatibilità), è stato introdotto oxidizr, un’utility che consente di passare dalle versioni GNU a quelle in Rust e viceversa con semplicità, mantenendo il sistema operativo in uno stato reversibile. Una scelta saggia per accompagnare una migrazione di questa portata.
Mani in pasta: provare i coreutils in Rust con oxidizr
Canonical ha pensato a tutto. Per facilitare il test dei nuovi tool senza distruggere il sistema, è stato creato oxidizr, un’utility da riga di comando che consente di passare facilmente dai tool GNU tradizionali a quelli in Rust — e viceversa.
Installare oxidizr
Al momento oxidizr non è ancora incluso nei repository ufficiali, ma dovrebbe arrivare a breve su Ubuntu 25.10. Se vuoi provarlo in anteprima (ammesso che sia già disponibile pubblicamente), puoi installarlo così:
# snap install oxidizr --classic
Oppure, se disponibile su GitHub:
git clone https://github.com/canonical/oxidizr.git
cd oxidizr
cargo build --release
# cp target/release/oxidizr /usr/local/bin/
Nota: è necessario avere Rust e Cargo installati (# apt install cargo).
Eseguire lo “switch” ai coreutils in Rust
Una volta installato oxidizr, puoi iniziare a usare i nuovi tool:
# oxidizr enable
Questo comando crea dei symlink per puntare alle versioni Rust dei vari comandi (ls, cp, mv, ecc.) e salva un backup degli originali GNU.
Vuoi tornare indietro? Nessun problema:
# oxidizr disable
E tutto torna come prima.
Verifica delle versioni
Per verificare se stai usando il tool GNU o quello Rust, puoi usare:
ls --version
Le versioni Rust spesso riportano “uutils” o riferimenti a Rust nella stringa di output.
Testare in sicurezza
Un buon approccio per i più prudenti è creare un ambiente di test in un container LXC, in una VM su Proxmox o addirittura in un chroot, così da provare senza rischi di rompere il sistema operativo principale.
Il nodo filosofico: licenze
Qui casca l’asino, almeno per i puristi. I coreutils GNU sono sotto GPLv3, una licenza copyleft che garantisce che ogni modifica resti libera. uutils, invece, è distribuito con la MIT license, molto più permissiva: sì, open-source, ma senza l’obbligo di redistribuire le modifiche. Questo cambio di paradigma ha già acceso discussioni tra sostenitori del software libero, che temono un’erosione dei principi fondanti del progetto GNU.
Canonical, dal canto suo, sembra privilegiare flessibilità e pragmatismo. Per molti utenti finali, infatti, ciò che conta è la stabilità e il funzionamento quotidiano del sistema, non la licenza del tool che gira sotto /bin/ls.
E il kernel?
Nonostante titoli altisonanti come “Ubuntu dice addio a GNU/Linux”, va chiarito: Linux resta il kernel di Ubuntu. Nessun segnale concreto indica un abbandono imminente del cuore del sistema. Al massimo, si intravedono aperture verso una maggiore aggressività nel tracking delle versioni upstream (vedi la policy adottata a partire da Ubuntu 24.10), ma sempre nel solco del kernel Linux.
Un passo storico
Non è la prima volta che una distribuzione Linux esplora alternative ai tool GNU. Alpine, ad esempio, usa Busybox. Ma Ubuntu, per diffusione e visibilità, ha un impatto molto più ampio. Questa mossa, se portata a termine, rappresenterebbe una vera svolta nella storia della distribuzione, con potenziali ricadute su tutto l’ecosistema.
Conclusione
La “rivoluzione” di Ubuntu non è (ancora) un addio al kernel Linux, ma segna una frattura con il mondo GNU, almeno per quanto riguarda i coreutils. È un cambio tecnico, sì, ma anche filosofico. Da purista del software libero o da semplice power user, è impossibile ignorarne il peso.
Siamo davanti a una distribuzione che evolve, si modernizza e guarda al futuro. Ma ogni rivoluzione ha un prezzo. Starà a noi, come comunità, capire se vale la pena pagarlo.
Le opinioni in quanto tali sono opinabili e nulla ti vieta di approfondire l’argomento.
Risorse: