Marvin Pascale

[B.Log]

23 Dicembre 2025

Le distribuzioni GNU/Linux non esistono più

Comparazione GNU/Linux

Qualche giorno fa mi sono imbattuto in un articolo su Medium dal titolo provocatorio: “Linux Distributions Don’t Exist Anymore” . La prima reazione è stata quella classica: “Ecco un altro che vuole complicare le cose”. Poi però ho continuato a leggere. E, da uno che Linux lo usa da quando Slackware e Debian arrivavano su CD (o peggio, via FTP notturno), mi sono reso conto che il punto centrale è tutt’altro che campato in aria.

La verità è che continuiamo a usare una parola, distribuzione, che descrive molto bene il mondo di GNU e Linux del 1993, ma molto male quello del 2025.

Quando “distribuzione” aveva senso

All’inizio degli anni ’90 una distribuzione GNU/Linux era una cosa abbastanza chiara:

  • kernel Linux
  • userspace GNU
  • una collezione di script per tenere insieme il tutto

Slackware, Debian, Red Hat, ecc: cambiavano i pacchetti, il gestore, qualche scelta di default, ma il modello mentale era lo stesso. Il filesystem era mutabile, la configurazione imperativa, gli aggiornamenti sovrascrivevano file. Il sistema era la somma della sua storia.

Io sono cresciuto tecnicamente in quel mondo, con quelle regole. Ho “rotto” /etc, ho aggiornato macchine remote col fiato sospeso, ho imparato che “se l’upgrade si interrompe, buona fortuna”. Era normale. Era GNU/Linux.

Stesso kernel, mondi completamente diversi

Oggi però mettiamo nello stesso calderone cose che non condividono praticamente nulla, se non il kernel:

  • Debian
  • Arch
  • NixOS
  • Ubuntu Core
  • Fedora Silverblue

Dire che sono tutte “distribuzioni GNU/Linux” è come dire che una barca a remi e una portaerei sono mezzi di trasporto marittimi. Tecnicamente vero, operativamente fuorviante.

Il kernel non è più il centro di gravità. Lo è diventato il modello di userspace:

  • come viene gestito lo stato
  • come funzionano gli aggiornamenti
  • cosa significa “rollback”
  • se la configurazione è dichiarativa o imperativa

Tutte cose che, nel mio lavoro quotidiano da sysadmin, fanno la differenza tra dormire sereni e ricevere alert alle 3 di notte.

Il vero punto di rottura: lo stato del sistema

Ora arriviamo al punto focale della discussione: abbiamo almeno tre grandi famiglie di sistemi:

1. Sistemi mutabili e imperativi (Debian, Red Hat, tutte le derivate, Arch …) Lo stato è la storia dei comandi eseguiti. Il drift è inevitabile. Il backup è fondamentale perché il sistema non è riproducibile.

2. Sistemi dichiarativi e immutabili (NixOS) Lo stato è il risultato di una configurazione. Se hai il file, hai il sistema. Concetto potentissimo, che all’inizio spiazza, ma che una volta capito cambia il modo di ragionare.

3. Sistemi transazionali e image-based (Ubuntu Core, Silverblue, Bazzite) Aggiornamenti atomici, rollback automatici, filesystem di base read-only. Qui Linux inizia ad assomigliare più a un firmware del futuro che a un vecchio Unix.

Tutto questo non lo decide il kernel. Lo decide l’architettura sopra il kernel.

Perché continuiamo a chiamarle “distribuzioni”?

Per abitudine. E perché il termine ci impedisce di fare le domande giuste.

Quando diciamo “questa distro è più stabile di quell’altra”, spesso stiamo in realtà confrontando modelli operativi incompatibili, non semplici scelte di pacchetti.

Da appassionato di open-source, questa cosa mi colpisce particolarmente: l’innovazione oggi non sta solo nel kernel, ma nel modo in cui costruiamo, aggiorniamo e ripristiniamo i sistemi.

Ed è esattamente il tipo di temi che, negli ultimi anni, mi ritrovo ad affrontare sempre più spesso parlando di:

  • container
  • orchestrazione
  • sistemi immutabili
  • infrastrutture riproducibili

Forse dovremmo cambiare vocabolario

Il punto finale dell’articolo è quello che condivido di più: descrivere i sistemi per il loro modello operativo, non per il kernel.

Nel 1993 il kernel era il sistema operativo. Nel 2025 il kernel è il substrato comune.

Continuare a dire “uso Linux” dice sempre meno. La domanda giusta ormai è un’altra:

Che tipo di sistema operativo stai usando, davvero?

Ed è una domanda che vale la pena iniziare a farsi, soprattutto se, come me, Linux non lo usate per moda, ma perché ci lavorate ogni giorno.


Le opinioni in quanto tali sono opinabili e nulla ti vieta di approfondire l’argomento.

Risorse: